Il documentario di Bianca Stigter si apre con un filmato amatoriale di tre minuti in 16 mm. Le immagini si stanno sgretolando e i colori sono pallidi, ma possiamo vedere alcune persone di tutte le età che si radunano, scorci di un paesaggio di una piccola città che potrebbe essere ovunque in Europa, con alcuni volti sorridenti, alcuni che lasciano una sinagoga, altri che pensano agli affari propri, e questo è tutto. Quando irrompe la voce fuori campo scopriamo che nel 2009 un uomo di nome Glenn Kurtz trovò quella bobina di tre minuti nell’armadio dei suoi genitori in Florida. Il filmato sarebbe stato girato da suo nonno David nel 1938, quando era in vacanza in Europa. La città raffigurata nei filmati amatoriali è Nasielsk, una comunità polacca abitata prevalentemente da ebrei e luogo di nascita di David. È un raro documento che mostra l’aspetto della città prima dell’occupazione nazista, dove meno di 100 persone sopravvissero all’Olocausto. Il film è unico nella sua originalità e segna un discrimine nella concezione del documentario. Non è solo un documentario sull’Olocausto ma un nuovo modo di raccontare il cinema e il peso della memoria dando vita a un’opera di forte impatto emotivo.